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29 luglio 2018

Tanta fatica... a volte.

La consulenza è un lavoro di gruppo. Da sempre, nell'organizzazione del mio studio, faccio in modo che ogni lavoro venga condiviso, discusso o rivisto prima di essere inviato.
È bellissimo potersi confrontare tra colleghi: è essenziale poter contare su un punto di vista differente o anche solo potersi  confrontare con una prospettiva leggermente diversa dalla propria.
Provare a realizzare un qualsiasi lavoro in totale autonomia è spesso deludente, noioso, e può generare un prodotto piuttosto scarno e superficiale. In quei rari casi in cui non riesco a confrontarmi con un collega, cerco comunque applicare quegli stratagemmi che, fin dai tempi della scuola, mi hanno aiutato: parcheggio il lavoro svolto per qualche ora, mi occupo d'altro e lo riprendo  in seguito, con occhi nuovi e con spirito critico, impugnando la gomma piuttosto che la matita.


Tutto si paga chiaramente e questo tipo di controllo, oggi, è un lusso. Io lo considero necessario, anche a costo di essere meno rapidi o meno produttivi.

Ogni tanto questo confronto assume un senso ed un sapore diverso e diventa così faticoso da farmi pensare che ci sia un errore di fondo.
Di colpo, si entra in un incubo, mi tornano alla mente alcuni libri di Kafka: i sospiri aumentano, e affiorano sentimenti di rassegnazione e frustrazione.
A volte il confronto parte male e mi trovo a dover sostenere le mie tesi senza che dall'altra parte ce ne siano altre, senza un secondo punto di vista ma semplicemente due occhi sbarrati che mi osservano come se fossi un marziano: ogni parola sembra nuova ed ignota, le perifrasi sono inutili perché sfugge il concetto, gli occhi dell'interlocutore diventano bui e pensierosi, il volto si tende e compare un generale sentimento di irritazione ostilità e paura.

A questo punto il danno è fatto. Non c'è più dialogo ma un esame dove ogni parola deve essere giustificata, dove ogni tesi va dimostrata. Tutto si trasforma in un question time estremamente faticoso, per nulla produttivo è piuttosto deludente.

Per molto tempo ho temuto che si potesse innescare questo meccanismo.
Più di recente ho iniziato a pensare che questo tipo di dialogo possa avere un senso. Qual'è l'origine dell'incubo? Si può forse gestire? Forse è un fenomeno che va compreso più a fondo.
La scintilla è la paura: la paura di non aver compreso l'interlocutore; la paura che il contenuto della consulenza possa andare a toccare argomenti tabù che non possono essere messi in discussione, come dei dogmi; la paura di non avere alternative o, in alcuni casi, la paura pura e semplice di avventurarsi nell'ignoto.

Riprendere il controllo della situazione richiede, in questi casi, pazienza e fatica perché la paura si può scardinare solo con il lume della ragione e della conoscenza...

E allora cambia tutto... la consulenza diventa un momento di formazione, si riprende tutto dall'inizio cercando di condividere anche quelle scontate basi che, forse, sono state date per scontate. Si inizia così un cammino diverso, molto più orientato alla didattica piuttosto che al confronto operativo e all'arricchimento reciproco. Se il confronto costruttivo è un lusso, questo approccio costa addirittura molto di più.

Il risultato non è mai prevedibile e, a volte, è sorprendente. Una volta, un cliente illuminato e onesto, mi ha candidamente detto che, a causa di quello che gli avevo spiegato, avrebbe messo in discussione me prima di mettere in discussione il resto, prima di considerare vero quello che stavo spiegando, prima di riconsiderare il modello di business, in particolare, prima di valutare le implicazioni scomode dell'applicazione esatta della normativa sulla protezione dei dati personali.

Tutto questo mi riporta alla fatica, che non è mai stata un problema se è necessaria per raggiungere un obiettivo, ma che è insostenibile quando sembra essere fine a se stessa.

A volte è difficile cogliere il senso di questi sforzi se manca quella trasparenza e quella onestà intellettuale, magari a causa della paura che confonde i pensieri.
Dopo tutti questi anni da formatore e consulente, continuo a pensare che un risultato si riesca sempre a conseguirlo: essere riusciti ad arricchire l'interlocutore, magari anche a costo di dover rinunciare alla consulenza e "perderlo" come cliente, con l'unica consolazione di aver gettato le basi per stimolare l'approfondimento, per far sorgere i dubbi e per aver, in qualche modo, mostrato una prospettiva nuova, prima invisibili, così diversa da sembrare eretica... 
...e di aver sconfitto la paura.

CB

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