Medici miopi.
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Premessa interpretativa: non sono affatto di buon umore.
C'è chi frequenta ambienti sanitari per lavoro, chi per dedizione verso il prossimo, chi per farsi curare. Di solito li frequento in veste di consulente, di DPO o di formatore. Da qualche giorno sono fisso in reparto per necessità e non ho alcuna predisposizione al divertimento, ai passatempi, ai giochetti retorici. Peraltro, rischio anche di essere ricoverato perché ho valori di cristomadonio da record.
A causa delle circostanze, sono incline a mandare preventivamente affanculo molta gente, incluso chi ritenga che io non possa conoscere bene entrambi i mondi: quello della sanità e quello della privacy.
Chiunque arriverà qui a dirmi che, a suo parere, tra privacy e salute c'è una netta priorità e che, tra le due, viene prima la salute, riceverà uno speciale vaffanculo, autografato su pergamena. Un pezzo da collezione.
Da queste parti il tempo è una risorsa scarsa, quindi non mi dilungo e arrivo al punto.
Anche un bambino di età prescolare riconosce l'evidenza: se esiste un modo per fare bene le cose, a parità di sforzo, è molto stupido farle male.
In ambito sanitario si incontrano spesso esigenze primarie, importanti, questioni di vita o di morte... di quelle che, se si comprime il lato sanitario, la gente muore e, allora, non gli serve più la privacy.
Può quindi capitare che un paziente, ricoverato per una grave patologia, necessiti di supervisione continua, in interventi tempestivi e corretti in funzione della sua particolare situazione.
Come facciamo? Gli mettiamo un braccialetto con codice a barre per consentire ai medici, agli infermieri, agli specialisti, all'amministrazione e a chiunque abbia un valido motivo di poter leggere tutto, la cartella clinica, la patologia, la terapia, vita ... e miracoli. Quanto alla morte cerchiamo, appunto, di evitarla.
Ma il braccialetto con codice a barre non è molto pratico, richiede un terminale, un computer o uno smartphone per essere letto e per consentire la consultazione dei dati. Il codice a barre è perfetto per le macchine ma è pessimo per aiutare gli umani che devono intervenire rapidamente in caso di necessità.
Cosa si fa, dunque?
Me lo immagino il luminoso pensiero nella testa del genio della medicina: "qui la gente muore e la privacy non gli serve, quindi mettiamo un bel braccialetto esplicito e tanti saluti ai talebani e alle vestali".
Eccolo
Certo, se questa fosse una necessità, andrebbe semplicemente accettata. Purtroppo, le cose non stanno così, non è affatto una necessità, è semplicemente la scelta stupida di una capra ignorante che non sa fare il proprio mestiere, oppure è un atto di crudeltà di una persona malvagia.
Per fortuna esistono posti dove le persone, di fronte alla stessa identica situazione, con le stesse identiche pressanti e prioritarie necessità terapeutiche, continuano a far funzionare il cervello e, se necessario, consultano un collega per capire come salvare capra e cavoli, cioè, come fare contento il cerusico senza privare il paziente della sua dignità.
Ecco il risultato:
In questa struttura, l'indicazione lampante agli occhi del personale che ha la necessità di sapere. Lo stesso braccialetto è abbastanza generico da consentire al malato di dire qualsiasi cosa lui voglia alla persona che, di volta in volta, ha davanti: alle figlie potrà dire che è una sciocchezza, con gli amici progetterà la prossima sfida a calcetto, al capo chiederà come vanno le cose in sua assenza, sfottendolo perché senza di lui va tutto a rotoli... e a chi diavolo vorrà lui potrà anche dirà la cruda verità.
Tutto questo ha un nome: "privacy by design".
La migliore spiegazione del concetto la dobbiamo a Rowenna Fielding quando lo ha esemplificato così: "don't be a git". Volendo tradurre l'espressione direi che suona più o meno come "non fare lo stronzo con i dati personali altrui".
Post scriptum interpretativo: si, questo articolo è per te che hai detto una cagata pazzesca e, anziché ammetterlo, continui da anni ad arrampicarti sui vetri ingigantendo il merdone che hai pestato.
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