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Ciao

Benvenuta e benvenuto nel Blog di Christian Bernieri. Sei in un posto dove riflettere e rimuginare in libertà su privacy, sicurezza, protezione dei dati personali e sui fatti che accadono nel mondo, sempre in salsa privacy. Con una tempistica assolutamente randomica, con format per nulla omogenei, con un linguaggio decisamente inappropriato, senza alcuna padronanza della grammatica e della sintassi, ti propongo articoli che nessun editore accetterebbe mai di pubblicare... Divertiti.

30 luglio 2018

Non c'è nulla di più costoso di ciò che è gratis.

Gratis... che affarone.

Ti davano una bella divisa, tre pasti caldi al giorno e un tetto sulla testa. Un affarone per chi non ha nulla. In cambio però  dovevi combattere con le armi un nemico in guerra...

Anche un anno di pay-tv gratis è un affarone... finché non scopri che il contratto è triennale e gli anni successivi hanno un costo ben diverso, che al contratto sono associati servizi ulteriori, newsletter, profilazione sulle abitudini di fruizione, promozioni di partner commerciali, ecc. Certamente nessuno è obbligato ad aderire alla proposta e chiunque può leggere anche le scritte con caratteri minuscoli, ma i modi per offuscare il meccanismo di persuasione sono molti. Possiamo chiamarla prova gratuita, possiamo chiamarlo regalo per i nuovi abbonati, possiamo chiamarla personalizzazione dell'esperienza utente, possiamo chiamarlo dolus bonus, tuttavia, superando ogni punto di vista, resta una sola inconfutabile verità: quel primo anno non è affatto gratis.


Oggi, magari in modo meno evidente, il meccanismo è il medesimo di sempre: sembra gratis ma non lo è.


Oggi il valore di scambio non è nemmeno visibile agli occhi di chi, con entusiasmo, usufruisce di un fighissimo servizio gratuito.

Tutti possono vedere il valore di uno sconto o il totale dei soldi risparmiati, purtroppo sono ancora pochi a poter intuire il valore dei dati e ancora meno sono le persone che sanno intuire il valore dell'interconnessione dei dati, dell'uso evoluto e del vero costo della promozione.

Ogni volta che siamo di fronte alla gratuità, c'è il concreto rischio di trasformarsi, senza accorgersene e con il nostro pieno consenso, in un limone spremuto sino all'ultima goccia.

Questo scenario è ricorrente nei modelli di business imperanti e consolidati. Mi confronto spesso con aziende che impostano gran parte della loro attività su escamotage di questo tipo e che propongono prodotti e servizi con il solo scopo di raccogliere e utilizzare dati personali, dati di consumo, preferenze, scelte, che interconnettono i dati per poter essere più efficaci nel promuovere il prodotto giusto per la persona giusta, nel momento giusto!
Il GDPR impone un livello di trasparenza e dei vincoli di legittimità che destabilizzano e che minano alle fondamenta questo consolidato meccanismo.

Dal fatidico 25 maggio 2018, un servizio gratuito, uno sconto, una promozione, l'accesso esclusivo ad un prodotto in anteprima, un programma di fidelizzazione, la connessione al wifi, la frequentazione di esclusive lounge ecc... non può essere più subordinato ad una contropartita in termini di libertà di analisi dei dati o di consenso a trattamenti spinti e potenzialmente rischiosi.
O meglio, anche prima del 25 maggio era vietato, ma la norma precedente era meno considerata dal mercato, meno applicata, direi ignorata.

Oggi non può più esistere la gratuità in cambio del consenso. Il GDPR non lo permette e chi ancora basa il proprio business su questo modello corre il rischio di violare una norma e veder sgretolare il proprio business. 

Ciò che può esistere è solo la gratuità, quella vera: poter usare un servizio, leggere un articolo, connettersi ad internet senza che nessuno possa pretendere nulla in cambio. 
Questo non significa che chiedere di poter utilizzare i dati sia deprecabile o illegale. Resta illecito pretenderlo o, peggio, farlo senza nemmeno chiederlo.
Mi tornano alla memoria i primi tempi dell'accesso di massa alle BBS o ad Internet, tramite operatori dotati di batterie di Modem ai quali telefonare. Prima con numeri a tariffazione ordinaria, poi con numeri verdi. Alla luce di questi anni di evoluzione della consapevolezza, si può rileggere anche quella gratuità di accesso in modo differente. Io stesso, ricordo, quando gestivo una BBS, mi divertivo ad esaminare i log e a verificare il comportamento degli utenti, a sviluppare le aree di maggior interesse e chiudere le sezioni non utilizzate e a "spiare" dietro le quinte ciò che accadeva. In effetti posso dire di aver imparato molto da quell'esperienza che ormai risale a più di 20 anni fa.
Anche oggi potrei farlo, come chiunque, ma nel rispetto del GDPR.

Probabilmente l'impatto sui modelli di business di questa rivoluzione non è ancora del tutto evidente, ma occorre sin da ora fare uno sforzo di fantasia per inventare nuovi modi per rendere di nuovo remunerativo ciò che, fino a poco tempo fa, non si vendeva ma si regalava. 
Mentre scrivo, leggo le notizie dei primi contraccolpi finanziari che l'applicazione del GDPR sta portando ai big del web. Forse l'impatto maggiore lo vedranno i minion del web, meno attrezzati, meno pronti, meno reattivi, meno fantasiosi e meno rapidi nel cambiamento.
Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento. Grazie Mr. Darwin per il prezioso indizio su come sopravvivere al GDPR.

Ancora oggi ricordo lo sguardo di quel CEO al quale ho spiegato che il suo programma di fidelizzazione, com'era disegnato, poteva essere reso legale unicamente garantendo gli stessi privilegi, sconti e promozioni ANCHE a chi non aveva nessuna voglia di rilasciare il proprio consenso per la profilazione, per il marketing... e addirittura che sarebbe stato necessario studiare una forma di accesso alle promozioni che escludesse l'uso dei dati e l'uso del sofisticato server che, fino a quel momento, aveva registrato e analizzato ogni acquisto, ogni transazione con gradi quantità di metadati ed informazioni, decisamente non necessarie per qualificarlo come clienti abituale e privilegiato...in grado quindi di accedere agli sconti prima della data ufficiale o per avere un piccolo sconto ulteriore sul prezzo esposto.
Leggo in queste ore un acceso dibattito su twitter tra alcuni esponenti del mondo IAB. e alcuni esperti attivi nella tutela della protezione dei dati personali (@PrivacyMatters). 


Leggo con stupore posizioni arroccate e spaventate, molto sulla difensiva, per nulla inclini al confronto e alla ricerca di margini di miglioramento... mi spiace per chi ha questo approccio, sinceramente, come mi spiace per la sorte del simpatico Panda.
Del resto, se nasci Panda, non puoi pretendere di diventare un Tardigrado!





29 luglio 2018

La paura: antico terrore o preziosa alleata?

Risultati immagini per pauraLa paura ci serve. In natura, senza paura, dureremmo poche ore. 
La paura è alla base della sopravvivenza, dell'evoluzione, dello sviluppo di idee intelligenti. La paura ci regola e ci impedisce di prendere decisioni errate, ci spinge verso comportamenti razionali ed utili.

Quando la paura è mal gestita si trasfigura e ci si rivolta contro: si trasforma da preziosa alleata ad ostacolo o, peggio, in un pessimo consigliere che ci paralizza, che ci impedisce di ragionare, che blocca la nostra creatività, che mortifica l'iniziativa ed il coraggio.
Non esistono due termini diversi per riferirsi a queste due facce della paura, tuttavia non possono essere confusi e sono da tutti riconosciuti in modo inequivocabile.

La provvida e naturale paura ci serve. 
La paura totalizzante va temuta più del male che la sottende.

Oggi la paura è usata in ogni ambito come arma di persuasione: è diventata una leva per garantire il rispetto di norme di legge, è usata come deterrente per scoraggiare comportamenti illeciti, è addirittura uno strumento di marketing per vendere servizi o prodotti. In quest'ottica, basta rileggere in modo critico qualsiasi pubblicità, su qualunque media, per rendersi conto che il fattore paura è predominante: anche quando le parole suggeriscono serenità o propongono soluzioni, il messaggio, le immagini, le suggestioni e le allusioni sono sempre orientate per suscitare paura nello spettatore.

Visti i numeri, penso proprio che funzioni!

Temo che, se questo è vero, ci sia un equivoco di fondo che genera a cascata conseguenze, per me, inaccettabili.

Mi dissocio dalla logica della paura.
Non riesco ad essere d'accordo con chi ha paura delle sanzioni e, per questo, decide di adottare un determinato comportamento.
Non posso approvare chi genera paura della norma di legge (ad esempio del GDPR), non ha senso spaventare un azienda sperando che diventi un cliente. Personalmente trovo tutto questo immorale e sbagliato.

Mi piace pensare di poter contare su una provvida paura che, con riferimento al GDPR e al dato personale, appare più simile a un rispetto consapevole, determinato dalla fiducia altrui.
Mi sento orgoglioso di essere il depositario di dati personali altrui e solo questo mi spinge a trattarli nel miglior modo possibile.
Sono felice di poter contare su norme evolute, mature, magari complesse ma decisamente gestibili, che mi indichino come fare per garantire l'adeguata protezione e la necessaria riservatezza dei dati che custodisco e che utilizzo.

Questo approccio, che spero sia sempre più condiviso, mi aiuta realmente, mi permette di  utilizzare in modo positivo questa paura,  di valorizzarla, di trarne il massimo per sviluppare soluzioni intelligenti, nuove, a volte coraggiose e, soprattutto, pensate specificamente per ogni singolo unico e particolare caso che mi si presenti.
Mi accorgo che questo approccio si riflette in modo molto profondo sulla consulenza e sul rapporto con le aziende che aiuto. 

Uso la paura per affrontare lucidamente ed entusiasticamente ogni progetto: dopo aver cercato di inquadrare correttamente il tema, dopo aver individuato gli obiettivi e le criticità, affronto il lavoro in modo sempre molto positivo e aperto. Si tratta solo di capire come fare, bene, ciò che permette di raggiungere lo scopo. Un po come se non esistessero preclusioni a priori o vincoli insuperabili. 
La paura fa dire no. La provvida paura del dato mi suggerisce che c'è sicuramente una soluzione ideale che aspetta solo di essere intuita scoperta ed applicata.

CB

Tanta fatica... a volte.

La consulenza è un lavoro di gruppo. Da sempre, nell'organizzazione del mio studio, faccio in modo che ogni lavoro venga condiviso, discusso o rivisto prima di essere inviato.
È bellissimo potersi confrontare tra colleghi: è essenziale poter contare su un punto di vista differente o anche solo potersi  confrontare con una prospettiva leggermente diversa dalla propria.
Provare a realizzare un qualsiasi lavoro in totale autonomia è spesso deludente, noioso, e può generare un prodotto piuttosto scarno e superficiale. In quei rari casi in cui non riesco a confrontarmi con un collega, cerco comunque applicare quegli stratagemmi che, fin dai tempi della scuola, mi hanno aiutato: parcheggio il lavoro svolto per qualche ora, mi occupo d'altro e lo riprendo  in seguito, con occhi nuovi e con spirito critico, impugnando la gomma piuttosto che la matita.


Tutto si paga chiaramente e questo tipo di controllo, oggi, è un lusso. Io lo considero necessario, anche a costo di essere meno rapidi o meno produttivi.

Ogni tanto questo confronto assume un senso ed un sapore diverso e diventa così faticoso da farmi pensare che ci sia un errore di fondo.
Di colpo, si entra in un incubo, mi tornano alla mente alcuni libri di Kafka: i sospiri aumentano, e affiorano sentimenti di rassegnazione e frustrazione.
A volte il confronto parte male e mi trovo a dover sostenere le mie tesi senza che dall'altra parte ce ne siano altre, senza un secondo punto di vista ma semplicemente due occhi sbarrati che mi osservano come se fossi un marziano: ogni parola sembra nuova ed ignota, le perifrasi sono inutili perché sfugge il concetto, gli occhi dell'interlocutore diventano bui e pensierosi, il volto si tende e compare un generale sentimento di irritazione ostilità e paura.

A questo punto il danno è fatto. Non c'è più dialogo ma un esame dove ogni parola deve essere giustificata, dove ogni tesi va dimostrata. Tutto si trasforma in un question time estremamente faticoso, per nulla produttivo è piuttosto deludente.

Per molto tempo ho temuto che si potesse innescare questo meccanismo.
Più di recente ho iniziato a pensare che questo tipo di dialogo possa avere un senso. Qual'è l'origine dell'incubo? Si può forse gestire? Forse è un fenomeno che va compreso più a fondo.
La scintilla è la paura: la paura di non aver compreso l'interlocutore; la paura che il contenuto della consulenza possa andare a toccare argomenti tabù che non possono essere messi in discussione, come dei dogmi; la paura di non avere alternative o, in alcuni casi, la paura pura e semplice di avventurarsi nell'ignoto.

Riprendere il controllo della situazione richiede, in questi casi, pazienza e fatica perché la paura si può scardinare solo con il lume della ragione e della conoscenza...

E allora cambia tutto... la consulenza diventa un momento di formazione, si riprende tutto dall'inizio cercando di condividere anche quelle scontate basi che, forse, sono state date per scontate. Si inizia così un cammino diverso, molto più orientato alla didattica piuttosto che al confronto operativo e all'arricchimento reciproco. Se il confronto costruttivo è un lusso, questo approccio costa addirittura molto di più.

Il risultato non è mai prevedibile e, a volte, è sorprendente. Una volta, un cliente illuminato e onesto, mi ha candidamente detto che, a causa di quello che gli avevo spiegato, avrebbe messo in discussione me prima di mettere in discussione il resto, prima di considerare vero quello che stavo spiegando, prima di riconsiderare il modello di business, in particolare, prima di valutare le implicazioni scomode dell'applicazione esatta della normativa sulla protezione dei dati personali.

Tutto questo mi riporta alla fatica, che non è mai stata un problema se è necessaria per raggiungere un obiettivo, ma che è insostenibile quando sembra essere fine a se stessa.

A volte è difficile cogliere il senso di questi sforzi se manca quella trasparenza e quella onestà intellettuale, magari a causa della paura che confonde i pensieri.
Dopo tutti questi anni da formatore e consulente, continuo a pensare che un risultato si riesca sempre a conseguirlo: essere riusciti ad arricchire l'interlocutore, magari anche a costo di dover rinunciare alla consulenza e "perderlo" come cliente, con l'unica consolazione di aver gettato le basi per stimolare l'approfondimento, per far sorgere i dubbi e per aver, in qualche modo, mostrato una prospettiva nuova, prima invisibili, così diversa da sembrare eretica... 
...e di aver sconfitto la paura.

CB